Contatto NES@Ibidem #8

Due mani che si sfiorano educano loro stesse ai concetti di pieno e vuoto. Disegnano volute intime di relazione, scoperta, immaginazione. Sono capaci di veicolare sensazioni potenti e durature, raccontano storie. Attraverso il contatto della pelle percepiamo la profondità e, a volte, l’abisso.

Doveva arrivare il momento che un report diventasse anche il saluto finale all’esperienza di organizzazione di questa serie di concerti presso lo spazio Ibidem Aps da parte di New Ethic Society. Almeno fino a qui….

L’ occasione era fra le più ghiotte, visto che il maestro di cerimonia è stato Giancarlo Schiaffini. Quando si parla di improvvisazione, difficile sarebbe trovare qualcuno con una più ampia esperienza di applicazione della stessa nei vari contesti espressivi del contemporaneo. E questa esperienza è tutta nel peso di ogni singolo gesto che “schiaffo” agisce nello spazio musicale. Ed il gruppo scelto per questo concerto era composto da persone che vivono l’improvvisazione facendosi domande, credendo alla valenza espressiva profonda di questa strana arte. Sul piccolo palco, quattro generazioni. Giancarlo Schiaffini al trombone, Luca Venitucci alla fisarmonica, me ai clarinetti, Mario Cianca al contrabbasso e Giulia Cianca alla voce. In ordine decrescente di età. E la musica che si è palesata in un enorme rispetto degli spazi, delle idee, delle possibili generatività dei materiali è stata, dal punto di vista interno di chi scrive, perfetta nella sua fragilità.

Ogni sentiero, ogni respiro, ogni parola, ogni articolazione stava nel corpo del suono in maniera aperta, propositiva, in perenne trasformazione, fuori da assunti semantici e linguistici consueti, con un suono di insieme pieno e affermativo, nella sua completa acusticità in linea con quel “camerismo anarchico” con cui mi piace chiamare le formazioni che rinunciano alla batteria….. Un capitolo fondamentale della mia esperienza di “attore” della musica improvvisata.

Una festa finale, piena di amici e di pubblico, in una calda fine di maggio. Una lezione imparata da un maestro, e condivisa da eterni studenti. Questo mi riporta alle mani dell’inizio.

Il luogo superficiale del contatto cela il lavoro profondo di ricerca, lo comunica, lo esalta, gli da il senso. E se quel contatto è voluto a tal punto da rubarlo ad un contesto che lo mette al bando, può scatenare energie tanto grandi da ridefinire la ragione stessa di quello che siamo e della musica che suoniamo.

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