Non luoghi-NES@Ibidem #7

Spesso rifletto su questa apparente ed ossimorica realtà attuale. La contemporaneità sembra abitare sempre di più i Non Luoghi, intesi come spazi separati dalla realtà (prevalentemente) fisica e meschina della quotidianità. L’ambiente social, la messaggistica istantanea, io che scrivo su una pagina digitale…fino ad arrivare al delirio attuale chiamato metaverso…Ma il Non Luogo è anche lo spazio dell’intimità, dell’io profondo, del “sentire” . Lo spazio delle emozioni, della ricerca e dell’azione. E allo stesso tempo è un non luogo anche l’arte, forse il primo in assoluto, in cui la realtà non è negata, ma assunta a paradigma di trasformazione, leva su cui agire per innescare l’ordigno dell’immaginazione.

photo by Paolo De Francesco

Ieri puntata speciale di NES@Ibidem, speciale perché fuori programma e nata per un impeto emotivo dato dall’incontrare un musicista con cui condivido le sorti da oramai venticinque anni. Da adolescente già conoscevo il suo nome (è di una decina di anni più grande di me), “famoso” in quella sacca provinciale e marginale dove siamo cresciuti e da dove lui non si è mai praticamente mosso : i Castelli Romani. Ho ritrovato l’amico, il compagno di mille concerti e di studio, un batterista “unico” nel suo essere completamente immune alla fascinazione esterna, privo di arrivismo, fragile e poetico in ogni gesto. La batteria come il suo Non Luogo di elezione, il suo spazio di esistenza, la sua poesia, catarsi e strumento unico di comprensione di un Mondo che sembra non avere nessun interesse a frequentare.

Nella musica improvvisata non esiste un parametro unico di analisi. Ho imparato che la Musica non pretende di essere in nessun modo, semplicemente è. Al limite la dividiamo in buona e cattiva nel momento in cui percepiamo il senso oppure no…Ieri in compagnia del bravissimo Mario Cianca, che sui non luoghi avrebbe molto da dire, abbiamo suonato per un piccolissimo pubblico, a dividere un luogo reale nello spazio di Ibidem. Il racconto della musica sarebbe banale, ma mi concedo di concentrare la narrazione su un punto preciso in cui Stefano Cupellini è rimasto da solo. Aveva portato con sé un arsenale di tamburi e quel solo si è basato su una figura precisa fra le due “casse” , espandendo e contraendo il tempo secondo una logica formale rigorosissima, e lucidissima. Ed ho avuto la percezione che il lavoro fatto insieme ci abbia influenzato profondamente, definendo nello sviluppo dei materiali (coerente e narrativo) il fulcro della nostra ricerca.

Mentre io ci ho scritto libri, insegno e faccio master su questa ricerca, Stefano semplicemente l’ha portata avanti senza avere nessuna urgenza di comunicarla. Senza avere la necessità di confrontarla con un luogo reale, ma tenendo salda la fede nel suo Non Luogo. Che come tale lo separa dal Mondo reale, lo emargina e lo tiene a distanza, così per la povertà di argomenti di condivisione come per la difficoltà di entrare in relazione con gli ambienti della musica che guardano sempre con ostilità verso chi risulta immune ai percorsi stabiliti come “necessari” e “da fare” per essere accreditati nel Non Luogo della “professione”. Ma la musica ripeto, non si crea questi problemi, e semplicemente è. E ieri sera è stata grande musica, su questo non ho dubbi.

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