Ossi di seppia

L’occasione del concerto di BONE (al secolo Luca Venitucci : fisarmonica e Giusi Bulotta : contrabbasso) mi riporta a pensare ad una matrice importante del pensiero compositivo. Quanto i materiali che edificano la composizione siano importanti per il suo sviluppo, quanto essi racchiudano al loro interno possibilità pressoché infinite di elaborazione e come guardarli con occhi nuovi ci consegni le chiavi per una musica che si rinnova, che si reinventa e adatta ai contesti che la ospitano. Come dire che il processo compositivo è fluido, mentre l’elaborazione dei materiali è profondamente identitaria.

BONE è un duo che si dedica all’interpretazione della musica di Steve Lacy. L’indiscusso maestro del sax soprano che nella sua capacità di selezione dei materiali ha radicato la sua estetica ed il suo modo di suonare. Il suono di Lacy è materia plastica, il suo controllo assoluto dello strumento monumentale, la sua visione lucida e coerente, senza mai un cedimento ed un rigore espressivo che caratterizza tutta la sua produzione. E per questo un musicista difficilmente avvicinabile con leggerezza. La sua musica nasconde insidie pericolose, ed il rischio di adattarsi completamente al modello (spesso in modo deferente o passivo) è reale. Ma in BONE la musica di Lacy prende una via personale, intrisa di folk e rumorismo. I brani vengono lasciati come isole nel mare dell’improvvisazione, a volte come luoghi solitari, a volte come evocazioni della memoria che mutano nel percorso di sviluppo, si trasformano ed in questo modo appartengono ai musicisti che indagano con grande emozione i brani, li fanno propri tanto da rendere la musica estremamente personale, cameristica, sorprendente e affascinante.

Luca Venitucci non ha bisogno delle mie parole per essere presentato. Ma ancora una volta ha sorpreso per il suo totale controllo timbrico del proprio mondo musicale, fatto di suoni piccoli, timbri deflagranti, aperture drammatiche del mantice e suoni che esplodono come in una fantastica bottega di alchimista. Giusi Bulotta è contrabbassista solida, il suo suono è pastoso e accogliente che fa della morbidezza di attacco un grande pregio espressivo.

E penso agli ossimori. E a quanto la realizzazione pratica di queste inversioni del pensiero sia un punto a favore della creatività. Steve Lacy ha voluto, nella sua vita, sovvertire l’irrealizzato dell’ossimoro. Jazz con il sax soprano, musica che ha ritmo senza sottomettere la raffinatezza compositiva allo stesso, ripetizione modulare di stampo minimalista su tappeti di “cha cha” e dediche agli artisti del suo tempo proiettando il suo universo musicale in ogni anfratto dello scibile artistico a lui contemporaneo. Ha spostato l’attenzione su coordinate sconosciute, reinventando il jazz e facendolo suo. Rendendosi compositore nel senso “classico” del termine, con un suo linguaggio ed un suo retaggio. Ieri sera BONE ha reinventato la musica di Lacy, facendola sua e dimostrando ancora una volta che il processo è quanto di più interessante ci possa essere, vitale anima dell’arte, ed il prodotto un semplice effetto collaterale.

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