Il confine – NES@Ibidem #7

Ieri per l’ultima serata in calendario (ma si recupererà quella del 12 Aprile in data 31 Maggio) del ciclo NES@Ibidem, il coordinatore del set è stato Luca Corrado. Per l’occasione ha riunito parte dello “zoccolo duro” di New Ethic Society, preferendo all’apertura verso l’esterno la sedimentazione delle relazioni. E nel farlo ha proposto un concerto che fin dalla strumentazione si prefiggeva lo scopo di spostare il confine di ciò che i singoli musicisti si sarebbero potuti aspettare dalla musica, e così è stato anche per il pubblico di cui facevo parte.

Per cui la voce di Giulia Cianca, che oramai è presenza importante di questi incontri essendo stata scelta numerose volte a comparire sul palco, le percussioni di Cristian Lombardi (che per l’ennesima volta ha re-immaginato il suo set per l’occasione) e Luca e Giorgio Tebaldi agli Ukulele (strumenti che suonano professionalmente da molti anni oramai) iper processati da pedali e effetti.

L’idea di una musica che nel “processo” del suono ricavava la sua condizione di esistenza è stata palpabile fin dall’inizio con cicli lenti e ripetizioni continue, trasformazioni e liquidità ad avvolgere il lavoro delle percussioni e ad accogliere gli arabeschi vocali, teso il tutto a convergere verso un finale più ritmico e più “naturale” per gli strumenti coinvolti.

Credo che Luca Corrado si sia prefissato l’obiettivo di spingersi in un luogo difficile per definizione, e chiedersi qualcosa che spingesse il proprio confine verso luoghi non controllabili fino in fondo, dominato dalla curiosità e da una certa irriverenza. L’idea di usare processato un Ukulele deve avere sfiziato la sua immaginazione quando ha pensato alla formazione da guidare per questo concerto. Ed in questo modo ha sacrificato tutto quello che avrebbe potuto maneggiare con sicurezza, avventurandosi in un luogo che se dal punto di vista sonoro è stato assolutamente coerente e le atmosfere forse fin troppo placide, dal punto di vista psicologico è stato luogo di tensione, di frustrazione e di incompiutezza.

Trovo sempre emozionante come una scelta porti con sé un significato “umano”. E non posso non voler bene ad una musica vissuta nel momento in maniera totalizzante, tanto da spingere ad una riconsiderazione profonda di quello che metodologicamente chiamiamo improvvisazione. Mi è apparso evidente quanto il processo psicologico dell’immaginazione sia parte ingombrante del processo metodologico basato sui materiali musicali e che coordinare lo spazio di un concerto sia in qualche modo definire uno “spazio”, in cui far accadere delle cose…La maggior parte delle volte cose immaginate prima, intrise di pregiudizio e aspettative. Nel caso di ieri sera, stare insieme e porre una domanda, un limite, uno scontro. E se la musica intesa come espressione linguistica mi è apparsa inconcludente per buona parte del concerto, la Musica come azione, luogo di incontro e lavoro collettivo, mi ha consegnato una grande lezione di lotta contro l’Ego, di fratellanza (le grandi risate con cui ferocemente ci si criticava dopo il concerto sono state le più belle risate che abbiamo condiviso da tempo…), e di immaginazione del confine come luogo di transizione, fra ciò che siamo, quello che immaginiamo e quello che siamo capaci di costruire. Il luogo dell’utopia insomma, dove però, per un momento (citando Olivetti) il sogno diventa proposito, da realizzare poi, ma per un momento reale e ispiratore del futuro.

Ringrazio questa musica, e una volta ancora ringrazio Luca, capace sempre di colpire dove ero convinto di essere al sicuro.

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