Non esserci

Per la prima volta non sarò presente al concerto di NES@Ibidem del martedì: il dovere di insegnante in questo caso mi impone di essere a Siena a recuperare lezioni. Mi spiace immensamente, vuoi perché la rassegna è una “mia” creatura, vuoi perché il musicista chiamato a coordinare il set è sicuramente qualcuno da seguire live sempre con attenzione, vuoi perché uno dei musicisti coinvolti nel set non potrà essere della partita a causa del Covid, e vuoi perché lascio la nostra presentatrice (e splendida cantante di New Ethic Society) da sola. Confido nel pubblico che ha sempre seguito le serate, e nella musica che sono sicuro sarà di livello siderale. Ma non voglio rinunciare a questi appunti del martedì, e con l’occasione riflettere su cosa significhi non esserci.

I concerti dal vivo sono sempre un occasione meravigliosa di confronto, sentire l’aria vibrare insieme ai musicisti, individuare gli sguardi di intesa, i sorrisi oppure le occhiatacce, soffermarsi a guardare il gesto, guardare con severità un ascoltatore che non si arrende alla sua necessità di chiacchierare ad alta voce, condividere l’ascolto con giovani e giovanissimi, oppure grandi vecchi e vecchissimi, è un rito che si è cristallizzato, per me, da molto tempo nella musica “dal basso”. Non riesco a farmi andare bene gli eventi, in nessun modo…Trovo una energia e freschezza in questi musicisti che tentano di trovare una strada, che sbagliano e che rinnovano il fuoco della passione per la musica che non riesco a trovare altrove. Non esserci quindi mi pesa, ancora di più perché mi privo di qualcosa a cui tengo veramente molto nel mio personalissimo universo di gioie.

Ma non esserci è anche una lezione. Impariamo presto che “esserci” è fondamentale, che bisogna incidere lo schermo da cui “tutti” ci guardano, che è necessario gridare forte il nostro essere in vita, il nostro “fare” il nostro essere importanti. E se così non fosse? A lezione oggi ho raccontato di Joe Maneri, in una sua toccante intervista ammette di avere realizzato il suo primo disco a 67 anni e di avere avuto sempre grandi difficoltà nell’apprendimento (probabilmente dislessico e discalculitico). La sua musica mi sta coinvolgendo sempre di più e pensare che la propria musica possa trovare una strada per avere attenzione al tramonto della propria esistenza e anni dopo trovare qualcuno dall’altra parte del Mondo che ne rimane folgorato non è proprio la narrazione più in voga di questi tempi.

Non esserci è anche un monito per tenere a bada l’ego. Sempre a lezione oggi abbiamo riflettuto su come il lottare contro l’errore, accanirsi verso il proprio strumento in risposta ad un evento non preordinato, oppure scatenare la propria voglia di suonare saturando lo spazio sonoro in modo da rendere difficile agli altri di intervenire siano due esempi evidenti di come l’ego subentri al confine con la fragilità.

Non esserci è importante…Nell’ Hagakure, Tsunemoto afferma che il primo pensiero del samurai è il riconoscersi come già morto. In assenza dell’attaccamento alla vita, ci sarà solo lo spazio per il pensiero di servire il proprio signore. A noi questo apparirà conflittuale, ma per traslazione è esattamente quello in cui mi ritrovo maggiormente. La lotta è non appartenere al proprio universo di giudizio, sostituire alla dimostrazione la condotta, e in definitiva procedere con l’amore verso gli altri in ogni cammino che ci impegnamo a percorrere.

Per dirla sempre come Joe Maneri : “Playing before an audience that’s tuned in to my work is a great privilege and joy. If they’re not [tuned in], it’s a great challenge to try to reach them with love. The things I accomplished I want to be in the hearts of everyone I meet.”

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