Dormire

Sono giorni che non riesco a dormire per più di poche manciate di minuti.

Rimango inerme senza pensieri, una sorta di veglia passiva, in cui sento quello che ho intorno, ma priva di ansia, preoccupazione o qualsivoglia negatività. Sono corpo che guarda il Mondo, con una singolare percezione di vuoto interno. Probabilmente è l’effetto collaterale di abuso di caffeina, che è la mia più grande debolezza. Forse l’unica rimasta ma che continua a crearmi una dipendenza notevole, anche perché si associa a quello che, per me, a tutti gli effetti è l’ambrosia, il nettare supremo: il caffè.

Ma stanotte, per quanto non continuativamente, ho dormito e ho sentito il corpo rilassarsi, provare conforto nelle ore passate orizzontalmente.

Sono pieno di dolori cronici e cronicizzati, la mia vita non proprio regolare lascia i suoi segni, ed ho imparato che il dolore è una forma di geografia della memoria. Quello interno e profondo delle fratture, quello acidulo e piccante delle offese, quello caldo e ribollente delle perdite, quello soffocante del fallimento, fino a quello freddo e metallico della frustrazione.

Ieri sera abbiamo suonato PORTRAIT OF MINGUS AS A MAN , insieme ai miei sodali Mario Cianca e Cristian Lombardi. Posso dire che abbiamo suonato la musica che avevamo immaginato in omaggio al contrabbassista di Nogales. Senza tempo, divisa nel doppio psicologico, fragile ma allo stesso tempo furente, fuori dal “repertorio” ma dentro una visione artistica, che nel mio caso si fa sempre più chiara e totalizzante.

Per cui non sta a me valutare il senso estetico dell’operazione, ne tanto meno chiedermi cosa potesse essere migliore. Assunta la fragilità e l’incompiutezza come valore principale della mia visione, condiviso nel lavoro insieme con i musicisti con cui suono, accetto il momento come “tutto”. E ne gioisco. Per la semplicità della connessione, per la facilità prossima al respiro con cui gli scenari sono cambiati, per il silenzio che ha squarciato lo spazio, per quel galleggiare sulle melodie che hanno caratterizzato la musica di ieri sera. E mi accorgo quanto il lavoro di questo anno frutti, vedendo aprirsi la capacità di costruire della nostra immaginazione. Senza il freno di mostrare, ma agendo solo per “essere”.

Il mio grazie va anche al pubblico, che abbastanza numeroso da farsi percepire, ci ha dedicato un ascolto attento e intenso, sorbendosi un’ora di concerto senza interruzioni. Testardamente continuiamo a costruire qualcosa che agisce senza cercare niente altro che la “necessità” del senso.

Raccontiamo storie. Che servano anche per dormire, senza ansia e paura, senza ricordare il dolore, ma per creare sensazioni nuove di percezione del nostro corpo, per uscire dall’inerzia, per “fare”.

Che questi tempi hanno bisogno di Essere Umani, che mettano un freno alle bestie che imperversano incontrollate.

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