Di geografie preistoriche NES@Ibidem #5

Quando ho preso a scrivere dei piccoli report dei concerti organizzati nello spazio Ibidem, l’ho fatto perchè convinto che raccontare quello che succede, dare delle chiavi di lettura non solo della musica, ma di quello che intorno alla musica ne influenza l’andare e il costruirsi, fosse necessario per provare a richiudere uno strappo (o contribuire a farlo) fra la pretesa di comprensione e la necessità di comunicare. Le musiche proposte fino a qui non possono definirsi altro che musiche improvvisate, nel senso che in comune non hanno altro che il metodo con cui vengono composte (L’improvvisazione). Ed il concerto di ieri ha confermato questa varietà (secondo me necessaria e splendida) e questa attitudine. Il set è stato coordinato da Giorgio Tebaldi, trombonista e emozionato compagno di viaggio in New Ethic Society, che ha deciso di radunare una formazione alquanto atipica, portando a confrontare le mie attitudini con una coppia di percussioniste (Taiko Drums, strumento grande e potente, originario del Giappone, suonato con combinazioni a specchio e sedimentate idiomaticamente nella pratica collettiva, suonati da Catia Castagna e Rita Superbi) , un Sousafono (il grande ottone, suonato da un grande uomo, amico e fratello di mille avventure : Luca Corrado) e due tromboni (Giorgio Tebaldi e Alessandro Ciccarelli, umorali e timbrici come solo il trombone sa essere…) e me che ho fatto debuttare in concerto il mio sax tenore, a cui la mia voce sembra adattarsi a pennello….O almeno così pare a me…

La musica che su richiesta di Giorgio Tebaldi avrebbe dovuto svilupparsi secondo l’idea di paesaggio preistorico, vuoi un pò ideale ed un pò oleografico nella descrizione, ha preso spesso una deriva ben più carnale, animata da spinte espressive guidate dai crescendo delle percussioni e seguita dalle combinazioni ritmiche in cui il Sousafono spesso è stata percussione aggiunta. Senza fatica mi sono trovato a frequentare ambiti modali precisi, e passare anche per sequenza squisitamente orientali citando o “pensando a” a quel pezzo che è Hole Hole Bushi su cui mi interrogo spesso e che è oramai sedimentato nella mia memoria.

Il lavoro dei tromboni è stato complementare e architettonico, a tessere strutture, sottolineare ritmi ad impreziosire l’ambiente sonore di suoni e respiri d’acqua e metallo.

La musica ha proseguito il suo cammino per cinquanta minuti senza sosta, alternando passaggi furenti a corali contrappuntistici, fasce di armonie a momenti più informali, traendo linfa tanto da un mondo pentatonico tanto da quello del rumore e del suono puro.

Per cui cui oltre la preistoria ideale si è navigato anche per una geografia espressiva reale e politica, in cui la riflessione su una radice antica di tutte le musiche è salita in superficie probabilmente evocata dalla ritualità ossessiva delle percussioni…

Una nota sulla partecipazione del pubblico che ha riempito la sala, fino all’orlo oserei dire….Una bellissima sensazione di calore, vicinanza, informalità. Questi martedì tengono dal punto di vista del pubblico, e questo ci rende veramente felici. Sono convinto che la pluralità di queste musiche sia un valore, che la loro continua mutazione di forme (tante quante le umanità che le creano) siano una ricchezza grande e che le energie che si muovono una fonte di entusiasmo per continuare questo lavoro a ricucire quello strappo.

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