Il lavoro che non si ferma mai

Con New Ethic Society abbiamo pubblicato i primi tre lavori. E’ esaltante questa avventura che tira le somme di dieci anni di autoproduzione e li rende uno strumento di articolazione di pensiero. Non ultimo la possibilità di essere solidali con una Onlus (Si Può Fare), il cui lavoro serve a costruire presidi sanitari e strumenti educativi in Burkina Faso. Questo con la suite POST COLONIAL BLUES che prende vita intorno le parole che  Thomas Sankara ha pronunciato l’indomani della rivoluzione in Alto Volta che porterà quel Paese ad essere il Burkina Fasu.  La selezione usata nella suite la riporto qui:

 Non pretendo qui di affermare dottrine. Non sono un messia né un profeta; non posseggo verità. I miei obiettivi sono due: in primo luogo, parlare in nome del mio popolo e poi, arrivare ad esprimere, a modo mio, la parola del “grande popolo dei diseredati” e dire, anche se non riesco a farle comprendere, le ragioni della nostra rivolta.

Hanno calpestato le verità del giusto. Hanno tradito la parola di Cristo e trasformato la sua croce in mazza. Si sono rivestiti della sua tunica e poi hanno fatto a pezzi i nostri corpi e le nostre anime. Hanno oscurato il suo messaggio. L’hanno occidentalizzato, mentre per noi aveva un significato di liberazione universale. Abbiamo scelto di rischiare nuove vie per giungere ad una maggiore felicità. Abbiamo scelto di applicare nuove tecniche e stiamo cercando forme organizzative più adatte alla nostra civiltà, respingendo duramente e definitivamente ogni forma di diktat esterno, al fine di creare le condizioni per una dignità pari al nostro valore.(…) Le donne in lotta proclamano all’unisono con noi che lo schiavo che non organizza la propria ribellione non merita compassione per la sua sorte. Questo schiavo è responsabile della sua sfortuna se nutre qualche illusione quando il padrone gli promette libertà. La libertà può essere conquistata solo con la lotta e noi chiamiamo tutte le nostre sorelle di tutte le razze a sollevarsi e a lottare per conquistare i loro diritti. Bene, mi faccio portavoce di tutti coloro che invano cercano un’arena dalla quale essere ascoltati. Sì, vorrei parlare in nome di tutti gli “abbandonati del mondo”, perché sono un uomo e niente di quello che è umano mi è estraneo. (…) Ho viaggiato per migliaia di chilometri. Sono venuto qui per chiedere a ciascuno di voi di unirvi in uno sforzo comune perché abbia fine l’arroganza di chi ha torto, svanisca il triste spettacolo dei bambini che muoiono di fame, sia spazzata via l’ignoranza, vinca la rivolta dei popoli, e tacciano finalmente i suoni di guerra, e che infine si lotti con una volontà comune per la sopravvivenza dell’umanità.” (T.Sankara)

Ecco  che a rileggere queste parole il perché di questo incessante lavoro mi appare chiarissimo. Non c’è il tempo di aspettare, questo è il tempo per “fare”, “sbagliare”, “costruire” e “amare” le cose che ci sono care, i luoghi che ci hanno reso quello che siamo, le persone con cui camminiamo. Ed è il tempo di condannare, resistere, opporci a tutto quello che non è umano. Ovviamente la guerra, il cui alito siderale non ha mai smesso di soffiare e che oggi prende la ribalta dell’informazione a causa di uno scellerato mitomane.  Ancora la fame, le malattie, lo sfruttamento di essere umani da parte di essere umani (schiavitù, prostituzione, sfruttamento del lavoro minorile e diritti dell’infanzia), lo sfruttamento del sistema sull’essere umano (lavoro, desertificazione dei rapporti personali, mutilazioni emotive, disagio) , lo sfruttamento del sistema sull’insieme dei valori culturali (impoverimento del linguaggio, morte della poesia, rispetto della comunità, assenza di solidarietà, assenza di empatia, assuefazione alla violenza, sessismo, reificazione dei rapporti) , lo sfruttamento del sistema sull’eros (deturpazione della bellezza, annullamento dell’ingenuità, colpevolizzazione dell’originalità, vessazione dell’intimo, brutalità emotiva, coercizione nell’insegnamento, violenza verbale, violenza comunitaria, marginalizzazione). 

E non abbiamo tempo. Il Mondo cambia, e non in meglio per noi. Le condizioni climatiche che hanno accompagnato l’ascesa evolutiva dell’essere umano ci comunicano che il nostro tempo impone di preservare e non più raccogliere. Impone di curare, non di ferire. E’ una lezione che stentiamo a comprendere, ma appare incontrovertibile: se curiamo le persone, loro si prenderanno cura le une delle altre. Ed insieme si potrebbero finalmente prendere cura del luogo in cui vivono. Il nostro ruolo di artisti è prenderci cura quindi, il nostro ruolo di cittadini è prendere parte, il nostro ruolo di lavoratori è di emanciparci, il nostro ruolo di intellettuali è di essere critici, il nostro ruolo di sognatori è di immaginare.

E se dovessimo scomparire da questo Pianeta, almeno lo faremmo leggeri, senza il brutale peso di essere stati gli idioti che da Dei hanno finito per essere i parassiti della loro casa.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *